La condotta imprevedibile e pericolosa della persona offesa può escludere la configurabilità della fattispecie di omicidio colposo aggravato per violazione del codice della strada (oggi, omicidio stradale) anche in ipotesi in cui l’agente abbia superato il limite massimo di velocità.
In questi termini si è pronunciata la quarta sezione della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza 10 febbraio 2017, n. 6366.
Un automobilista veniva assolto in primo grado dall’accusa di omicidio colposo per avere travolto, uccidendolo, il conducente di un ciclomotore.
Il Tribunale escludeva la punibilità dell’imputato – sebbene il medesimo avesse superato i limiti di velocità – valorizzando il comportamento della vittima, rea di avere invertito improvvisamente il senso di marcia rendendo così inevitabile l’evento mortale.
Sull’appello proposto dalla Procura, la Corte d’Appello ribaltava il verdetto assolutorio del Giudice di prime cure ritenendo esigibile in capo all’imputato un comportamento diverso da quello tenuto, anche alla luce di una diversa valutazione delle prove formatesi nel giudizio di primo grado.
La Corte territoriale, valorizzando la deposizione di un testimone, riteneva credibile che l’imputato stesse sorpassando con il proprio veicolo il ciclomotore della vittima, sebbene non ve ne fossero le condizioni di sicurezza. Infatti – secondo la Corte d’Appello – il sopraggiungere di altro veicolo dalla corsia opposta e la circostanza che la vittima guidasse senza casco un ciclomotore privo di specchietto retrovisore avrebbero dovuto indurre l’automobilista ad usare maggiore prudenza.
Con la sentenza citata in epigrafe, la Cassazione accoglie il ricorso proposto dall’imputato, annullando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello.
Oltre all’insegnamento sopra massimato, la sentenza in commento è significativa per ulteriori motivi.
Sotto un primo profilo, la medesima ripercorre – sintetizzandoli – i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di motivazione c.d. rafforzata: la sentenza d’appello di condanna che ribalti il verdetto assolutorio del primo grado sulla scorta del medesimo compendio probatorio deve essere motivata in modo da avere una maggiore forza persuasiva, parametrata all’istruttoria dibattimentale eventualmente rinnovata.
Sotto altro profilo, la sentenza in rassegna ha il pregio di evidenziare la rilevanza, nel caso di specie, del principio dell’affidamento nello specifico campo della circolazione, comparando l’atteggiarsi del medesimo in distinti settori della responsabilità per colpa (fra tutti, quello dell’èquipe medica). Sul punto, la Suprema Corte rileva che <<il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione, trova un opportuno contemperamento nell’opposto principio, secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità, dovendo verificarsi, ai fini della sussistenza della colpa, se – nelle condizioni date – l’agente dovesse e potesse concretamente prevedere le altrui condotte irregolari>>.
Alla luce di tali principi, la Suprema Corte conclude censurando la decisione della Corte d’Appello perché basata su una mera rivalutazione delle prove assunte nel giudizio di primo grado, senza alcuna rinnovazione dell’istruttoria; ed inoltre, perché la medesima non avrebbe tenuto in debita considerazione il comportamento imprevedibile della vittima.
Di qui, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello competente perché, previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, chiarisca la condotta effettivamente attribuibile all’imputato nonché la ragionevole prevedibilità di quella tenuta dalla vittima.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ISA Claudio – Presidente –
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –
Dott. CAPPELLO Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.C., n. (OMISSIS);
L’AMISSIMA ASSICURAZIONI S.p.A.;
avverso la sentenza n. 1123/2015 della CORTE d’APPELLO di LECCE -SEZ. DIST. Di TARANTO del 26/10/2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
udito il Procuratore Generale, in persona della Dott.ssa CARDIA Delia, la quale ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente al beneficio della sospensione condizionale, rigetto nel resto;
uditi l’Avv. Egidio Giusti del foro di Taranto, il quale ha depositato conclusione e nota spese;
l’Avv. Ferdinando Vista del foro di Trani, in sostituzione dell’avv. Francesco P.P. Pesare del foro di Taranto, per l’Amatissima Assicurazioni S.p.A., il quale nel riportarsi ai motivi del ricorso ha insistito per il loro accoglimento.
Svolgimento del processo
- La Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero e dalle parti civili, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Taranto, ha condannato l’imputato M.C. per il reato di cui all’art. 589 cod. pen. perchè – alla guida di una autovettura – per negligenza, imprudenza e inosservanza delle norme del C.d.S., viaggiando a velocità superiore a quella consentita, collideva con il ciclomotore condotto dalla vittima, P.G., che lo precedeva e che era impegnato in una manovra di inversione a “U” senza alcuna segnalazione, cagionandone la morte (fatti avvenuti il (OMISSIS)), condannandolo altresì in solido con il responsabile civile alla rifusione dei danni commisurati al 35% di responsabilità, rigettando la richiesta di liquidazione di una provvisionale.
- Questa, in sintesi, la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza d’appello. Il giorno del sinistro stradale, l’imputato stava percorrendo la sua corsia di marcia, preceduto dal ciclomotore condotto dalla vittima, procedendo ad una velocità superiore al limite consentito in quel tratto di strada, allorchè la vittima effettuava una repentina, quanto errata, manovra di svolta a sinistra, vietata in quel tratto e funzionale ad una inversione di marcia a “U”. In conseguenza di ciò, i due mezzi entravano in collisione e il P. riportava lesioni tali da determinarne il decesso. L’impatto era avvenuto all’interno della corsia di marcia dei due mezzi coinvolti. Il Tribunale aveva assolto l’imputato, ritenendo il difetto dell’elemento psicologico del reato e concludendo nel senso che, anche ove l’agente avesse tenuto una condotta di guida conforme al dettato normativo, non avrebbe comunque evitato l’impatto, nè scongiurato l’evento letale, tenuto conto della imprevedibilità della manovra approntata dal conducente del ciclomotore. Tale giudizio è stato sovvertito dalla Corte del gravame che, al contrario, ha ritenuto l’esigibilità del comportamento alternativo, in relazione alle circostanze di fatto (possibilità del M. di avvedersi della presenza del motociclo, non munito di specchietto e targa e condotto da guidatore sprovvisto di casco, presenza di autovettura che sopraggiungeva sulla corsia di marcia opposta) e la evitabilità dell’evento letale, in relazione all’obbligo del conducente di verificare costantemente che la velocità sia adeguata alle caratteristiche del veicolo, alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza.
- L’imputato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, formulando quattro motivi. Con il primo, ha dedotto vizio motivazionale, avendo la Corte d’appello sovvertito il verdetto assolutorio e le stesse conclusioni del perito, che aveva affermato che il sinistro si sarebbe verificato ugualmente anche ove il M. avesse tenuto una velocità pari e/o inferiore al limite imposto in quel tratto di strada. Sotto altro profilo, la parte ha censurato il ragionamento svolto dalla Corte territoriale che, partendo dalle stesse prove dichiarative che avevano fondato l’assoluzione, ne ha però ribaltato il significato senza fornire una motivazione rafforzata e senza procedere ad una nuova escussione dei testimoni. Con il secondo, ha dedotto la erronea valutazione della perizia disposta in primo grado, avendo la Corte territoriale fornito una lettura dell’elaborato tecnico in termini accusatori, nonostante l’ausiliario avesse concluso nel senso della non colpevolezza del M.. Con il terzo motivo, ha dedotto violazione di legge in ordine all’art. 141 C.d.S. e vizio della motivazione, in relazione alla affermazione di colpevolezza, avendo il giudice del gravame sovvertito il verdetto assolutorio sulla scorta di una ricostruzione dei fatti, in base alla quale sarebbe stata esigibile da parte del M. una manovra contraria ad ogni logica ed impossibile da attuare. In particolare, la illogicità è ravvisata nell’affermazione che, ove la velocità fosse stata anche inferiore al limite imposto, il M. avrebbe potuto approntare una manovra diversa e così evitare l’impatto, trattandosi di argomentazione svolta ex post che non fornisce la dimostrazione che la manovra alternativa avrebbe potuto effettivamente evitare l’impatto.Con il quarto motivo, infine, si censura il vizio di omessa motivazione e di violazione di legge per avere il giudice del gravame bilanciato le generiche solo in termini di equivalenza, a fronte di un grado di colpa pari al 35% e omesso di motivare in ordine alla mancata sospensione condizionale della pena.
- Il responsabile civile, AMISSIMA ASS.NI S.p.A., ha interposto ricorso a mezzo di difensore, formulando due motivi, con i quali ha dedotto violazione di legge in relazione all’art. 154 C.d.S., comma 1 e con riferimento agli artt. 40 e 45 cod. pen. e art. 192 cod. proc. pen. , anche riguardo alla attribuzione del grado di responsabilità del sinistro all’imputato, rilevando che il giudice d’appello non avrebbe valorizzato correttamente la ricostruzione dell’incidente offerta dai testi B. e D., oltre che dal perito S., ravvisando la colpevolezza del M. sulla scorta di una piattaforma probatoria troppo labile e di una mera congettura inerente il lieve superamento del limite di velocità. Sotto altro profilo, si è rilevato che, nel caso di norme cc.dd. elastiche, tali cioè da indicare un comportamento determinabile solo in base a circostanze contingenti, è necessario che l’imputazione soggettiva dell’evento avvenga attraverso un apprezzamento da parte dell’agente modello, laddove la ricostruzione operata dal perito è solo probabilistica e non può fondare la prova certa della penale responsabilità dell’imputato. Da ultimo, si è rilevato che il comportamento della vittima si sarebbe posto come evento autonomo, eccezionale o atipico, non avendo la Corte territoriale neppure considerato che il sinistro è avvenuto lungo un tratto stradale rettilineo, senza segnaletica che potesse indurre il conducente dell’autovettura ad adottare maggiori cautele.
Motivi della decisione
- I ricorsi devono essere accolti nei termini che si vanno ad esporre.
- Il procedimento si è sviluppato attorno ad un’unica questione di fatto, strettamente correlata alla ricostruzione del sinistro, alla luce dell’apporto tecnico derivante dalla perizia cinematica, non essendo in contestazione l’avvenuto impatto tra l’autovettura condotta dal M. e il ciclomotore condotto dal P., né tantomeno la condotta di guida del secondo, il quale stava certamente approntando una manovra finalizzata ad una vietata inversione di marcia, senza adottare le più basilari cautele. La Corte territoriale ha sovvertito la decisione con la quale il Tribunale, nell’assolvere il M., ha ritenuto che, anche ove costui non avesse superato il limite di 70 Km/h vigente lungo quel tratto di strada, non avrebbe potuto comunque evitare l’impatto con il ciclomotore che precedeva la sua autovettura e scongiurare così l’evento letale. Tale affermazione si è basata sulle conclusioni del perito il quale aveva colmato in tal modo la lacuna della consulenza tecnica dell’ISP. F. (cfr. pag. 11 sentenza di primo grado), rilevando che la manovra del P. era stata repentina ed imprevedibile. La Corte d’appello, tuttavia, ha ritenuto tali conclusioni confliggenti con le emergenze fattuali. Come è emerso nel processo, l’impatto era avvenuto all’interno della medesima corsia di marcia dei due mezzi coinvolti. Inoltre, il ciclomotore condotto dal P. era ben visibile dal M., il quale aveva potuto, quindi, rendersi conto che il conducente non indossava il casco e guidava un mezzo sprovvisto di specchietto retrovisore e di targa. Dalle testimonianze acquisite era pure emerso che al momento della repentina manovra della vittima, anche l’automobilista si era spostato leggermente verso il centro della carreggiata, cioè verso sinistra, pur senza invadere la corsia opposta. Il punto d’urto era stato individuato a 60 cm. dalla linea di mezzeria e l’impatto era avvenuto tra la parte sinistra del ciclomotore e la fiancata anteriore destra della vettura. Sulla scorta di tali incontestati dati di partenza, pertanto, la Corte d’appello ha valorizzato, da un lato, la centralità della inadeguatezza della velocità tenuta dal M. prima dell’impatto (certamente non inferiore a 77,32 Km/h, come concluso dal perito del Tribunale, ing. S., a fronte delle conclusioni del c.t. del P.M. che attestavano detta velocità addirittura a 94,54 Km/h, in un tratto in cui vigeva comunque il limite di 70), in relazione alle circostanze di fatto cadute sotto l’osservazione dell’agente, in base alle quali la manovra di sorpasso del ciclomotore – di un mezzo cioè di per sé instabile e soggetto ad oscillazioni e deviazioni più o meno ampie – da parte dell’automobilista avrebbe dovuto essere preceduta da una particolare prudenza, con riduzione sensibile della velocità al di sotto del limite massimo, indicato con riferimento alle migliori condizioni di sicurezza possibili. Tali elementi, secondo la Corte di merito, non sarebbero stati tenuti nella dovuta considerazione dal Tribunale, altresì considerato quanto affermato dal perito, secondo cui ove il M. avesse tenuto una manovra alternativa (procedendo diritto invece di spostarsi a sinistra), l’impatto sarebbe stato scongiurato. Il dato è stato ritenuto collimante con le dichiarazioni del teste B. il quale aveva osservato il mutamento di traiettoria dell’auto in direzione del centro della carreggiata.
- I primi tre motivi dedotti nell’interesse dell’imputato e quelli formulati dal responsabile civile sono fondati, rimanendo assorbito nella decisione il quarto motivo dedotto nell’interesse del M..
- Il verdetto assolutorio è stato ribaltato in virtù di una diversa lettura delle conclusioni cui era giunto il perito del Tribunale e sulla scorta della valorizzazione di un dato fattuale, rappresentato dalle specifiche condizioni in cui il M. si trovò a guidare in un tratto di strada che gli imponeva di non superare il limite di 70 Km/h e che, anzi, avrebbe richiesto una maggior prudenza, proprio in considerazione della natura del mezzo che lo precedeva e che si accingeva a superare. E’, quindi, doverosa la preliminare verifica del compiuto assolvimento, da parte del giudice d’appello, dell’obbligo di motivazione rafforzata, ravvisabile nelle ipotesi in cui il verdetto assolutorio di primo grado sia, per l’appunto, ribaltato sulla scorta del medesimo compendio probatorio. La Corte d’Appello ha valorizzato, ai fini della decisione, alcuni dati circostanziali che ha ritenuto emersi dal compendio probatorio esaminato. Il primo è costituito dalla inadeguatezza della velocità tenuta dal M., il quale oltre a violare lo specifico limite previsto in quel tratto di strada, non aveva neppure regolato la velocità ai sensi dell’art. 141 C.d.S., avuto riguardo “…alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura…”, evidenziando, quali circostanze specifiche del caso di specie, che il ciclomotore era sprovvisto di specchietto retrovisore e di targa ed era condotto da conducente privo di casco e che, sulla opposta corsia di marcia, stava sopraggiungendo un’altra autovettura. Il secondo, invece, è rappresentato dalla circostanza che il M., al momento dell’impatto, sarebbe stato impegnato in una manovra di sorpasso del ciclomotore – mezzo che la Corte territoriale ha ritenuto di per sè instabile, soggetto per sua natura ad oscillazioni e deviazioni più o meno ampie – e ciò sulla scorta di quanto affermato dal teste B. (conducente dell’autovettura proveniente dall’opposto senso di marcia), il quale aveva notato un lieve spostamento a sinistra dell’auto condotta dal M. che, tuttavia, non aveva invaso l’altra corsia. Tali profili sarebbero stati trascurati, secondo la Corte d’appello, dal giudice di primo grado, il quale non avrebbe considerato che il M. doveva tenere nell’occorso, date le specifiche circostanze sopra indicate e valutata l’imminenza del sorpasso in cui era impegnato, una velocità addirittura inferiore al limite consentito.
- Il ragionamento è censurabile sotto molteplici profili.
- Il tema all’esame, per come è evidente, chiama in causa innanzitutto i principi che questa Corte ha già da tempo elaborato in tema di motivazione rafforzata. Quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado sono concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, mentre nel caso in cui, per diversità di apprezzamenti, per l’apporto critico delle parti e o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado – genericamente richiamata – delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. Sezioni Unite n. 6682 del 04/02/1992, Rv. 191229). Tali principi sono stati anche successivamente approfonditi, essendosi affermato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice dell’appello ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr. Sezioni Unite n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679), mettendo alla luce carenze e aporie di quella decisione sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum impugnato (cfr. sez. 2 n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327), dando alla decisione, pertanto, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (cfr. Sez. 6 n. 1253 del 28/11/2013 Ud. (dep. 14/01/2014), Rv. 258005; n. 46742 dell’08/10/2013, Rv. 257332; Sez. 4 n. 35922 dell’11/07/2012, Rv. 254617). Ai fini della riforma della sentenza assolutoria, in assenza di elementi sopravvenuti, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, che sia caratterizzata da pari plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo una maggior forza persuasiva, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio, potendo il verdetto di colpevolezza fondarsi su puntuali rilievi di contraddittorietà della motivazione assolutoria, ai quali il giudice pervenga sulla scorta del medesimo materiale probatorio, ma ampliando la piattaforma valutativa esaminata in prima cura (cfr. sez. 1 n. 12273 del 05/12/2013 ud. (dep. 14/03/2014), Rv. 262261; sez. 6 n. 45203 del 22/10/2013, Rv. 256869; sez. 6 n. 46847 del 10/07/2012, Rv. 253718). Il tema coinvolge anche quello della corretta interpretazione del canone del “ragionevole dubbio”, quale limite alla riforma di una sentenza assolutoria, avendo le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 26720 del 2016, Dasgupta) rilevato che “per effetto del rilievo dato alla introduzione del canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”, inserito nell’art. 533 c.p.p. , comma 1 adopera della L. 20 febbraio 2006, n. 46 (ma già individuato dalla giurisprudenza quale inderogabile regola di giudizio: v. Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222139), si è più volte avuto modo di puntualizzare che nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, accorrendo una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio” (ex plurimis, Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 254113; Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, Aimone, Rv. 253718); posto che, come incisivamente notato da Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza”. Inoltre, nel caso specifico in cui la reformatio in peius sia frutto di una diversa valutazione delle prove dichiarative, all’indomani della sentenza della Corte E.D.U. 05/07/2011 nel caso Dan Moldavia, si è chiarito che il giudice ha l’obbligo di rinnovare l’istruttoria e di escutere nuovamente i dichiaranti, qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado (cfr., ex multis, sez. 5 n. 29827 del 13/03/2015, Rv. 265139; Sez. 6, Sentenza n. 44084 del 23/09/2014, Rv. 260623; sez. 3 n. 11658 del 24/02/2015, Rv. 262985). Tale principio è stato interpretato in maniera non assoluta, essendosi di volta in volta ravvisati alcuni contemperamenti, per esempio nel caso in cui la nuova assunzione della prova dichiarativa sia sollecitata dall’accusa, al fine di ottenere il ribaltamento della decisione assolutoria (cfr. sez. 5, n. 29827 del 2015 e sez. 6 citata 44084 del 2014 citate), oppure nel caso in cui ad essere rivalutata sia l’attendibilità estrinseca delle prove orali, cioè la ravvisabilità nel compendio probatorio di riscontri individualizzanti ovvero la loro idoneità a fungere da elemento esterno di conferma (cfr. sez. 6 n. 47722 del 06710/2015, Rv. 265879), ovvero quando il giudice d’appello fondi il proprio convincimento su una diversa valutazione in punto di diritto sul valore della prova, ovvero in punto di fatto sulla portata della prova nel contesto del compendio probatorio (cfr. sez. 3 n. 44006 del 24/09/2015, Rv. 265124) e sempre che dette prove siano decisive per l’affermazione di responsabilità (cfr. sez. 5 n. 25475 del 24/02/2015, Rv. 263903). La questione, peraltro, a fronte di talune divergenti interpretazioni delle sezioni semplici di questa Corte, ha costituito oggetto di una complessiva rivisitazione e puntualizzazione da parte delle Sezioni Unite (cfr. sent. n. 27620 del 2016, Dasgupta), chiamate nello specifico a risolvere il profilo della rilevabilità d’ufficio – in sede di giudizio di cassazione – della violazione dell’art. 6 CEDU per avere il giudice d’appello riformato la sentenza assolutoria di primo grado affermando la responsabilità penale dell’imputato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione di attendibilità delle dichiarazioni di testimoni senza procedere a nuova escussione degli stessi. In quella sede, il Supremo Collegio ha chiarito che la necessità per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante (cfr. sent. citata Rv. 267488), altresì affermando che la previsione contenuta nell’art. 6, par. 3, lett. d) della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU (il richiamo, in motivazione, è alle sentenze della Corte E.D.U. in Manolachi c/Romania del 05/03/2013 e Flueras c/Romania del 09/04/2013) – che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603 c.p.p. , comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado (cfr. sent. citata Rv. 267487). Cosicché, secondo il Supremo Collegio, deve ritenersi affetta da vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533 c.p.p. , comma 1, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603 c.p.p. , comma 3. La decisione in commento si fa carico di specificare, inoltre, quali siano le prove decisive al fine della necessità di procedere ex art. 603 cod. proc. pen. , offrendo taluni spunti di riflessione certamente utili ai fini che ci occupano. Si è, infatti, riconosciuta tale natura alle prove che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché a quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna (cfr. citata sentenza Rv. 267491). A fronte di siffatto quadro ricostruttivo dei principi sottesi al processo penale, si è poi precisato da parte del Supremo Collegio, che “dovere di motivazione rafforzata da parte del giudice della impugnazione in caso di dissenso rispetto alla decisione di primo grado, canone “al di là di ogni ragionevole dubbio”, dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale e limiti alla reformatio in pejus si saldano sul medesimo asse cognitivo e decisionale” e che “la rinnovazione della istruzione dibattimentale si profila come “assolutamente necessaria” ex art. 603 c.p.p., comma 3: tale presupposto, infatti, ai di là dei casi di incompletezza del quadro probatorio, si collega, più generalmente, alla esigenza che il convincimento del giudice di appello, nei casi in cui sia in questione il principio del “ragionevole dubbio”, replichi l’andamento del giudizio di primo grado, fondandosi su prove dichiarative direttamente assunte”.
- Alla luce di tali, necessarie premesse, devono ritenersi esistenti, nella sentenza impugnata, i profili di illegittimità allegati dai ricorrenti. E’ difettata, in primis – da parte della Corte d’appello – la preliminare verifica della incoerenza e implausibilità della ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dal Tribunale, peraltro sulla scorta del medesimo elaborato tecnico valorizzato dal giudice di secondo grado per ribaltare il verdetto assolutorio. Inoltre, il giudice del gravame non ha ritenuto di attivare i poteri di rinnovazione istruttoria, mediante l’audizione di quell’ausiliario (le cui affermazioni hanno ricevuto sì difformi letture) o attraverso la nomina di nuovo perito. La sentenza di condanna è il precipitato di un percorso argomentativo che, sulla scorta di una rivalutazione delle prove orali decisive esaminate dal Tribunale (prima fra tutte, per l’appunto, l’esame del perito S.), ha ritenuto di potervi trarre conclusioni opposte a quelle rassegnate dal Tribunale, peraltro a fronte del fatto che l’ausiliario del giudice non aveva assegnato alcun rilievo alla velocità del mezzo condotto dal M., poiché – anche ove l’imputato avesse tenuto una velocità pari e/o inferiore al limite imposto dalla legge in quel tratto di strada – l’incidente si sarebbe comunque verificato, stante la repentinità della manovra bruscamente intrapresa, senza alcuna segnalazione, dal P. in un tratto di strada in cui era vietata (cfr. pag. 11 della sentenza di primo grado). Nonostante detta precisa affermazione, la Corte di merito ha però ritenuto che lo stesso ausiliario del giudice aveva riconosciuto la erroneità della manovra approntata dal M., il quale, invece di proseguire diritto o sterzare verso destra, aveva invece sterzato a sinistra verso il centro della carreggiata, rendendo inevitabile l’impatto. Tale considerazione, per come afferma la stessa Corte territoriale, era stata formulata dal perito nel corso del suo esame, dopo che costui aveva però sostenuto che la manovra alternativa era inesigibile da parte di un conducente di media competenza, proprio in ragione della rapidità della manovra del conducente del ciclomotore. La incongruenza dei due dati è stata apoditticamente risolta dalla Corte di merito nel senso di ritenere che la prima affermazione fosse riferibile ad un’ipotesi astratta, laddove la correzione del tiro da parte dell’ausiliario del giudice era conseguenza di una valutazione degli elementi a disposizione. Tale ragionamento, già di per sé connotato da evidenti tratti di assertività, in quanto non sostenuto da una specifica e doverosa indicazione degli elementi, sulla scorta dei quali l’ausiliario, nel corso del suo esame, fosse addivenuto alla conclusione secondo cui quella condotta alternativa era idonea a scongiurare l’impatto, è del tutto incongruo avuto riguardo alle stesse affermazioni del tecnico, richiamate nella sentenza, atteso che la semplice affermazione circa la idoneità della manovra alternativa a scongiurare l’evento non significa di per sé che detta manovra fosse in concreto esigibile da parte del M. (ciò che il perito sembra aver negato con riferimento ad un conducente di media esperienza). Il percorso argomentativo seguito dal giudice di secondo grado, è inoltre contraddittorio rispetto alle premesse fattuali, dalle quali pure ha preso le mosse, non avendo la Corte operato una valutazione critica delle nette conclusioni cui era pervenuto il perito il quale, si ricorda, aveva escluso il nesso causale tra la velocità di guida del M. (e, quindi, del superamento del limite imposto) e l’evento alla luce della repentinità e imprevedibilità della condotta di guida tenuta dalla vittima. Inoltre, il ragionamento seguito nella sentenza impugnata, anche a volerlo ritenere coerente con il tenore complessivo della imputazione (che, in effetti, comprende oltre all’addebito per colpa specifica, anche quello per generica imprudenza e negligenza), non è stato tuttavia preceduto da una congrua spiegazione circa la rilevanza degli elementi di fatto valorizzati (ciclomotore sprovvisto di specchietto retrovisore e targa, ben visibile dal M. e condotto da soggetto che non indossava il casco, presenza di autovettura che sopraggiungeva sulla corsia di marcia opposta), secondo la Corte d’appello pretermessi dal Tribunale, nella valutazione dello specifico rimprovero mosso al M. e del nesso causale tra la condotta colposa ascrittagli e l’incidente verificatosi. Peraltro, la Corte territoriale sembra avere riconosciuto l’addebito di colpa sia riguardo alla velocità di guida tenuta dal M. (che, secondo il ragionamento sviluppato in sentenza, avrebbe dovuto essere inferiore al limite massimo consentito), che con riferimento alla manovra osservata dal teste B. (spostamento dell’autovettura verso sinistra), riguardo alla quale, tuttavia, non è chiaro se tale manovra sia stata considerata propedeutica al sorpasso del ciclomotore oppure approntata dal M. per schivarlo.
- Da ultimo, si rileva che la Corte ha omesso ogni valutazione in ordine all’elemento dell’affidamento, che pure sembra emergere dalla pronuncia di primo grado, laddove è stata sottolineata la repentinità e imprevedibilità della manovra vietata, posta in essere dal P., il quale, a bordo del ciclomotore, precedeva, lungo il margine destro della carreggiata l’autovettura condotta dal M. (cfr. pag. 7 della sentenza di primo grado). Sul punto, questa stessa sezione ha già chiarito che il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno contemperamento nell’opposto principio, secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità (cfr. sez. 4 n. 8090 del 15/11/2013 Ud. (dep. 20/02/2014)), dovendo verificarsi, ai fini della sussistenza della colpa, se – nelle condizioni date – l’agente dovesse e potesse concretamente prevedere le altrui condotte irregolari (cfr. sez. 4 n. 46741 dell’08/10/2009, Rv. 245663). Nella sentenza da ultimo citata si è peraltro chiarito che in tema di circolazione stradale, la tendenza della giurisprudenza è tradizionalmente quella di escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza, a differenza di altri campi, quale quello della responsabilità professionale in equipe, trattandosi di un settore per così dire meno definito, in cui si configura “un’impersonale, intensa interazione che mostra frequenti violazioni delle regole di prudenza” e si rinvengono “norme che sembrano estendere al massimo l’obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari” (il riferimento in quella sentenza è all’art. 141 C.d.S., pure richiamato dalla Corte d’appello, all’art. 145 e all’art. 191 stesso codice). Tuttavia, vi sono aspetti della circolazione stradale che implicano necessariamente un razionale affidamento, sì da imporre in qualche modo il riconoscimento di tale principio anche in questo campo dell’attività umana, pena il rischio di un vulnus al principio della responsabilità personale. La differenza tra i distinti settori di responsabilità per colpa (quello della circolazione stradale, quello del lavoro in equipe e quello della sicurezza del lavoro) sta nel fatto che, per definire la portata concreta del principio in esame nel primo ambito, occorre considerare i contesti fattuali che sono di per sè indeterminati, cosicché sarebbe irrealistico “che l’affidamento concorra a definire i modelli di agenti, le sfere di rischio e di responsabilità in modo categoriale”, come invece accade in diversa misura negli altri contesti, più definiti. Tale principio, peraltro, riverbera i suoi effetti anche sul versante soggettivo della colpa, imponendo di valutare se, in quelle precise condizioni, “l’agente dovesse e potesse veramente, realisticamente prevedere” l’altrui condotta, in base ad una prevedibilità quindi non astratta, ma rapportata alle circostanze del caso concreto, spazio valutativo – questo – “pressoché nullo nell’ambito delle norme rigide la cui inosservanza dà luogo quasi automaticamente alla colpa”, ma più ampio in casi di “norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti”.
- I principi sopra richiamati, ai quali anche questa Corte intende attenersi, in uno con le emergenze in fatto, per come accertate in sede di merito, impongono pertanto l’annullamento della sentenza impugnata perché, previa rinnovazione della istruzione dibattimentale con riferimento alle prove dichiarative ritenute rilevanti ai fini del decidere, in base ai principi sopra richiamati, siano chiariti gli aspetti della decisione relativi alla condotta effettivamente attribuita al M. e alla ragionevole prevedibilità di quella tenuta dalla vittima, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, cui rimette anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Lecce cui rimette anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017.