La Corte di cassazione, con la sentenza n. 27326 del 16 luglio 2020 (depositata l’1 ottobre 2020) si è pronunciata sul perimetro applicativo dell’abuso di autorità, che costituisce una delle modalità della condotta costrittiva, oltre alla violenza o minaccia, con cui può essere integrato il delitto di cui all’art. 609 bis c.p.
La vicenda da cui trae origine il quesito sottoposto alle Sezioni Unite riguarda un insegnante privato rinviato a giudizio per avere costretto due allieve infraquattordicenni a compiere e subire atti sessuali durante alcune lezioni di ripetizione.
L’imputato viene condannato in appello per il delitto di violenza sessuale (609 bis c.p.) aggravato dall’età infraquattordicenne delle allieve (all’epoca l’aggravante era prevista dall’art. 609 ter comma 1 n. 1 c.p.).
La difesa dell’imputato propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza d’appello, per ottenere una riqualificazione del fatto nel delitto di atti sessuali con minori (art. 609 quater c.p.), in conseguenza della quale l’imputato avrebbe beneficiato di un trattamento sanzionatorio meno severo, non trovando applicazione l’aggravante contestata.
L’argomento giuridico a sostegno di tale riqualificazione si basa sulla nozione di abuso di autorità di cui all’art. 609 bis c.p., che presupporrebbe una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, assente nel caso in esame, in cui le lezioni venivano impartite in base ad un accordo di natura privata.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 2888 del 24 gennaio 2020, rilevato un contrasto interpretativo in seno alla medesima Corte, rimette la questione alle Sezioni Unite nei termini seguenti: “Se, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità di cui all’art. 609 bis c.p., primo comma, cod. pen., presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere atti sessuali”.
Secondo un primo orientamento, l’abuso di autorità di cui all’art. 609 bis c.p. richiede una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale, ove ne ricorrano i presupposti, trova applicazione la fattispecie di cui all’art. 609 quater c.p.
L’argomento principale addotto a sostegno di tale impostazione attiene al rapporto tra il “nuovo” art. 609 bis c.p. e le fattispecie previgenti da questo abrogate.
Tra queste, l’art. 520 c.p. puniva la congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale; questa accezione pubblicistica connota anche la nuova fattispecie e consiste nella capacità di determinare una coercizione al compimento di atti sessuali, che dipende dalla subornazione psicologica prodotta nella persona offesa dall’uso strumentale del pubblico ufficio ricoperto dall’agente (in questo senso, Cass. pen. S.U. n. 13/2000; sez. 4, n. 6982/2012; sez. 3, n. 32513/2002; n. 2681/2011; 47869/2012; n. 16107/2015).
Secondo un diverso indirizzo interpretativo, più recente, l’abuso di autorità comprende ogni posizione di supremazia, anche di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a subire o a compiere atti sessuali.
A sostegno di tale interpretazione estensiva viene valorizzata in particolare la portata dell’aggravante comune di cui all’art. 61 comma 1 n. 11) c.p., in cui l’abuso di autorità viene equiparato a rapporti di natura privatistica, quali la prestazione d’opera, la coabitazione, l’ospitalità.
D’altra parte, si osserva, quando il legislatore ha inteso riferirsi ad una situazione autoritativa di natura pubblicistica, lo ha fatto espressamente: ad esempio, l’abuso di autorità previsto nel delitto di cui all’art. 608 c.p. è riferito per tabulas al pubblico ufficiale (a favore della tesi estensiva: Cass. pen., sez. 3, n. 33042/2016; n. 33049/2016; n. 40301/2017; n. 21997/2018).
Le Sezioni Unite, al fine di comporre il contrasto, prendono le mosse dalla collocazione dell’abuso di autorità all’interno della fattispecie di violenza sessuale e osservano che esso connota la condotta costrittiva in alternativa alla violenza e alla minaccia. Pertanto, tale abuso deve essere idoneo a produrre un effetto di sopraffazione della volontà della persona offesa, coartando la sua capacità di autodeterminazione.
La costrizione che origina dall’abuso di autorità, inoltre, discende dal particolare contesto relazionale di soggezione tra l’autore e la vittima, in cui il primo gode di una posizione di supremazia, che viene strumentalizzata per imporre alla seconda l’atto sessuale.
L’analisi testuale della disposizione, dunque, offre argomenti di per sé sufficienti per affermare che l’abuso di autorità prescinde dalla natura pubblicistica o privatistica della relazione autoritativa.
Tuttavia, le Sezioni Unite individuano ulteriori argomenti a sostegno della tesi estensiva.
Il primo argomento è storico e riguarda il confronto con la fattispecie previgente di cui all’art. 520 c.p., che faceva esplicito riferimento al pubblico ufficiale quale soggetto attivo del reato.
Tale argomento, valorizzato dall’interpretazione restrittiva per sostenere la continuità normativa tra la nuova fattispecie e quella abrogata, viene considerato debole dalle Sezioni Unite, che pongono l’accento sulla natura comune del reato, che può essere commesso da chiunque.
Il secondo argomento è di tipo sistematico. Le Sezioni Unite, ricalcando un argomento già speso dall’orientamento estensivo, evidenziano che quando il legislatore ha inteso riferirsi a soggetti attivi che rivestono una veste formale e pubblicistica, lo ha fatto espressamente, come nel caso del delitto di cui all’art. 608 c.p.. In assenza di indicazioni puntuali, il concetto di autorità va inteso in senso ampio e comprensivo di posizioni di preminenza di natura anche non pubblicistica (così in relazione all’art. 61 comma 1 n. 11 c.p.; ai reati di cui agli artt. 572 c.p., 600 octies comma 1 c.p., 600 c.p., 601 c.p.).
Il terzo argomento è di tipo letterale. Il concetto di autorità ha natura relazionale e presuppone un rapporto tra più soggetti caratterizzato dal fatto che colui che riconosce l’autorità altrui subisce gli atti che ne derivano, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica del rapporto.
L’ultimo argomento ha carattere teleologico. L’interpretazione restrittiva è in contrasto con l’esigenza di massima tutela della libertà personale che permea la disciplina dei reati sessuali. È evidente, infatti, che la natura pubblicistica dell’autorità finirebbe per frustrare tale esigenza, escludendo il reato in tutti i casi in il rapporto autoritativo abbia natura privatistica (ad esempio in ambito professionale, religioso o sportivo).
Le Sezioni Unite, inoltre, precisano che l’abuso di autorità all’interno di una relazione privatistica non presuppone che l’autorità abbia una fonte formale, legale o contrattuale, ma può sorgere anche “in fatto”.
Infine, concludono le Sezioni Unite, l’interpretazione estensiva della nozione di autorità non è in contrasto con il principio di tipicità, posto che l’interprete, nel caso concreto, deve accertare in modo puntuale: 1) la sussistenza di un rapporto autoritativo, anche privatistico o di fatto, tra l’agente e la persona offesa; 2) l’arbitraria utilizzazione del potere da parte dell’agente; 3) sul piano causale, la correlazione esistente tra l’abuso di autorità e le conseguenze sulla capacità di autodeterminazione della persona offesa, rifuggendo qualsiasi automatismo tra la posizione autoritativa e la natura costrittiva dell’atto sessuale.
avv. Martina Fusato