La pronuncia in commento si segnala perché offre una lettura dell’art. 314, comma 2, c.p. in tema di peculato d’uso, parzialmente diversa da quella fornita dalle Sezioni Unite in un noto arresto giurisprudenziale.

Si trattava – in quel caso – della configurabilità di tale delitto in capo al PU che aveva utilizzato, a fini privati, il telefono cellulare di servizio.

La tematica è nota e costituisce ogni anno possibile argomento d’esame.

Le Sezioni Unite – dirimendo un contrasto giurisprudenziale sorto in seno alle sezioni semplici – hanno affermato che «la condotta del pubblico agente che, utilizzando illegittimamente per fini personali il telefono assegnatogli per ragioni di ufficio, produce un apprezzabile danno al patrimonio della pubblica amministrazione o di terzi o una concreta lesione alla funzionalità dell’ufficio, è sussumibile nel delitto di peculato d’uso di cui all’art. 314, comma 2, c.p.» (Cass. Pen., SS. UU, 02.05.2013, n. 19054).

Ciò  poiché – secondo la Suprema Corte – il concetto di appropriazione va intesto in senso lato, ed è comprensivo – con specifico riferimento all’ipotesi del peculato d’uso – dell’utilizzo indebito, ma momentaneo, della cosa mobile appartenente alla PA.

Con la duplice conseguenza che per la consumazione del delitto in parola non è essenziale l’elemento della sottrazione materiale della res alla sfera di disponibilità e controllo della PA; e che la restituzione della cosa, di cui parla l’art. 314, comma 2, c.p., attiene, unicamente, alla cessazione dell’uso arbitrario di essa, che dopo l’utilizzo viene restituita alla propria (originaria) funzione pubblicistica.

Il peculato d’uso, dunque, si realizza allorquando vi sia una interversione momentanea del possesso correlata ad un utilizzo distorto della res nella disponibilità materiale del PU.

Non tutti gli usi distorti della res, tuttavia, ricadono nell’area dell’illecito penale, poiché vi rientrano – secondo le Sezioni Unite – solo quelli idonei ad arrecare un danno economicamente apprezzabile al patrimonio della PA, o a pregiudicare la funzionalità degli uffici pubblici.

Il principio dettato dalle Sezioni Unite ha certamente ristretto l’area del penalmente illecito, subordinando la punibilità del fatto alla causazione di un danno economicamente apprezzabile al patrimonio della PA, ovvero alla concreta lesione della funzionalità dell’ufficio;

ma esso è reso in un caso – invero, quello più comune nella prassi – in cui a giovarsi dell’uso (indebito) della res sia direttamente il PU, non già un terzo estraneo alla PA.

Ed è proprio su questo specifico punto che la sentenza annotata si ritiene interessante.

Brevemente il fatto.

Secondo l’ipotesi accusatoria, Tizio si sarebbe appropriato, quale addetto agli automezzi del Tribunale, di un lampeggiante in uso alle auto di servizio, consentendone l’utilizzo momentaneo ad un soggetto terzo, estraneo alla PA, che provvedeva poi a restituirlo.

In esito a giudizio abbreviato, tuttavia, il Giudice per l’Udienza Preliminare assolveva Tizio, <<perché il fatto non sussiste>>.

Più in particolare, il giudicante – facendo applicazione dei principi elaborati dalle Sezioni Unite – evidenziava l’assenza, nel caso di specie, di alcun danno economico alla PA, oltreché l’assenza di una concreta lesione alla funzionalità dell’ufficio pubblico.

Ciò poiché il lampeggiante – secondo il GUP – era in disuso ormai da anni e non era stato destinato, nel frattempo, ad altri servizi istituzionali.

Ricorre in Cassazione per saltum il Pubblico Ministero, sollecitando – e qui sta il novum – un <<ripensamento dell’esegesi>> sul reato di peculato d’uso fornita dalle Sezioni Unite del 2012.

Il quesito (interessante) posto dal ricorrente alla Suprema Corte di Cassazione si può così sintetizzare: si applica, o meno, la previsione dell’art. 314, comma 2, c.p. – specie alla luce del principio del buon andamento ed imparzialità della PA – nei casi in cui l’utilizzo della res non si esaurisca nel rapporto con il PU, ma coinvolga un soggetto terzo, estraneo alla PA?

Il quesito è lecitosecondo il ricorrente – poiché il lampeggiante blu, pur avendo un valore economico esiguo, ben si presta ad un utilizzo distorto, lesivo del corretto funzionamento degli uffici giudiziari, a prescindere dal suo utilizzatore.

Con la sentenza annotata, la Cassazione ha condiviso l’argomentare del Pubblico Ministero ricorrente, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

La motivazione della sentenza prende abbrivio, in premessa, dalla <<plurioffensività alternativa>> del peculato d’uso.

Il delitto, cioè, è punibile se vi è un danno, economicamente apprezzabile, al patrimonio della PA; ovvero, in alternativa, nei casi in cui sia lesa la funzionalità dell’ufficio pubblico, che trova copertura costituzionale nel principio del buon andamento della PA.

Con la conseguenza che la mancanza di un danno patrimoniale alla PA, non esclude la sussistenza del peculato d’uso allorquando sia leso l’altro interesse tutelato dalla norma.

Fatta questa necessaria premessa, la Suprema Corte passa all’esame della funzione, ultima e concreta, del lampeggiante blu in uso alle auto di servizio.

Tale strumento – secondo la Cassazione – ha la scopo di identificare chi lo utilizza come soggetto appartenente alla PA, che svolge funzioni pubbliche.

Si tratta, infatti, di un oggetto che – se utilizzato – esonera il PU dall’osservanza delle prescrizioni contenute nel codice della strada; infondendo nel cittadino comune la convinzione che l’utilizzatore sia un pubblico agente.

Con la conseguenza che <<l’aver consentito, se pur temporaneamente a terzi estranei alla PA, di possedere il suddetto dispositivo, […] costituisce un vulnus al buon andamento della PA, che non può essere circoscritto […] alla impossibilità o meno della usa utilizzazione per i servizi di tutela>>.

Per tali motivi, dunque, risponde di peculato d’uso il PU che consenta a terzi soggetti, estranei alla PA, l’utilizzo (indebito) del lampeggiante blu di auto di servizio, a prescindere che esso fosse o meno in uso alla PA al momento del fatto.

Ciò poiché, ad essere lesa, sarebbe la funzione ultima di tale strumento, strettamente correlata al principio di buona andamento della PA.

La Suprema Cassazione, così concludendo, cassa la sentenza, rinviando per un nuovo giudizio.

[avv. Davide Cappa]

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI   Giacomo – Presidente;

Dott. CALVANESE Ersilia – Rel. Consigliere;

Dott. DE AMICIS Gaetano –  Consigliere;

Dott. CORBO     Antonio – Consigliere;

Dott. SILVESTRI Pietro –  Consigliere;

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino; nel procedimento contro:              D.F.L., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/04/2017 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino; visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito il difensore, avv. Carmelo Scialò, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ricorre per l’annullamento della sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, all’esito di giudizio abbreviato, aveva assolto D.F.L. dal reato di peculato perchè il fatto non sussiste.

All’imputato era stato contestato di essersi appropriato, in qualità di addetto agli automezzi del Tribunale di Torino, di un lampeggiante in uso alle auto di servizio, che consegnava ad altra persona per farne un uso momentaneo, la quale dopo l’uso immediatamente lo restituiva (fatto commesso tra il 23 febbraio e il 2 marzo 2015).

Il Giudice riteneva che, sulla base dell’arresto delle Sezioni Unite n. 19054 del 2012, non fosse configurabile il peculato d’uso, non essendo stato apportato alcun danno di tipo economico alla p.a. e alcuna lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio (il lampeggiante risultava non utilizzato dalla metà del 2014 e non era destinato ad alcun altro servizio istituzionale al momento dei fatti).

2. Nel ricorso, si deducono i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p.:

2.1. Violazione di legge, in ordine alla ritenuta insussistenza del fatto.

Il ricorrente, pur consapevole dell’orientamento interpretativo applicato dal giudice nel caso in esame, sollecita un ripensamento dell’esegesi sul reato di peculato d’uso nel particolare caso in cui l’uso del bene pubblico non si esaurisca nel rapporto diretto con l’agente pubblico, ma coinvolga, come nella specie, un terzo estraneo che concorra nella condotta appropriativa temporanea.

Andrebbe considerata in tal caso la lesione del buon andamento e all’imparzialità della p.a., concorrendo il pubblico agente alla realizzazione di interessi di terzi nell’utilizzazione sicuramente illecita del bene pubblico: il lampeggiante, pur avendo un esiguo valore economico, si presta ad un uso distorto (al pari della paletta di servizio o di una pistola) che viene a ledere il corretto funzionamento degli uffici pubblici.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Le Sezioni Unite hanno da tempo fissato le linee ermeneutiche per stabilire quando il peculato d’uso raggiunga la soglia della rilevanza penale (Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, Vattani, Rv. 255296).

Hanno così affermato la necessità che la condotta dell’agente pubblico produca una apprezzabile lesione ai beni tutelati dall’art. 314 c.p., che stante la natura plurioffensiva del reato, sono da identificarsi nel buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione (sotto i profili della legalità, efficienza, probità e imparzialità, in tal senso, cfr. Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244190) e nel patrimonio della stessa o di terzi.

Si tratta di una plurioffensività generalmente alternativa, con la conseguenza, in particolare, che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale non esclude la sussistenza del reato, in presenza delle lesione dell’altro interesse, protetto dalla norma, del buon andamento della pubblica amministrazione.

Naturalmente la lesione di quest’ultimo bene giuridico assumerà connotati diversi in considerazione della tipologia di res oggetto dell’abusivo possesso.

3. Fatte queste premesse, va rilevato che la fattispecie in esame ha ad oggetto un lampeggiante di colore blu, ovvero uno strumento generalmente in uso alle forze in servizio di ordine pubblico o anche a coloro che svolgono determinati pubblici servizi (D.Lgs. n. 285 del 1995, art. 177) e che porta il quivis de populo ad identificare il portatore o detentore come soggetto appartenente alle suddette categorie di persone.

Trattasi invero di un oggetto, che, allorchè usato, esonera dall’osservanza degli obblighi, dei divieti e delle limitazioni relativi alla circolazione stradale e porta a identificare il suo detentore con un soggetto in servizio di ordine pubblico o assimilato; un oggetto, quindi, idoneo ad esteriorizzare ai cittadini le qualità personali di chi lo detiene e il potere connesso all’uso dello stesso.

Si ritiene infatti che il possesso di detto dispositivo, laddove contraffatto, integri il reato all’art. 497 ter c.p., comma 1, n. 1, (Sez. 5, n. 32964 del 29/05/2014, Piva, Rv. 260191, nella specie il lampeggiante, acquistato su internet, era stato collocato sul tetto di un’auto), proprio perchè il suo uso improprio può trarre in inganno il pubblico e gli stessi addetti alla circolazione stradale.

Quindi l’aver consentito, se pur temporaneamente a terzi estranei alla p.a., di possedere il suddetto dispositivo, la cui funzione come ha spiegato la ora richiamata pronuncia è di identificare il soggetto pubblico che lo utilizza e le funzioni ad esso attribuite, costituisce un vulnus al buon andamento della pubblica amministrazione, che non può essere circoscritto, come ha ritenuto la sentenza impugnata, alla impossibilità o meno della sua utilizzazione per i servizi di tutela.

4. Ne consegue quindi l’annullamento della sentenza impugnata, affinchè sia celebrato un nuovo giudizio che si atterrà ai principi sopra enunciati.

PQM
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Torino, Ufficio del Giudice dell’udienza preliminare.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2018.